
Il bullismo e il mobbing rappresentano due manifestazioni diverse di una stessa realtà quello dell’abuso del potere e l’umiliazione sistematica dell’altro, la sopraffazione che scava dentro, fino a lasciare cicatrici invisibili, ma profonde. Pur che si tratti di una Scuola o di un luogo di lavoro, la logica non cambia perchè la vittima viene isolata, derisa, annientata psicologicamente attraverso atteggiamenti reiterati e parole offensive o comportamenti discriminatori che ne compromettono l’autostima, e la dignità. Sono forme di violenza sottile, spesso silenziose, che si insinuano nei rapporti sociali travestite da ironia, da gioco o da rigore professionale. Il bullismo, in particolare, colpisce i più giovani, coloro che si stanno formando come persone e che, proprio per la loro età, sono più vulnerabili agli attacchi del gruppo. Può manifestarsi in mille modi con insulti, esclusione, minacce e raggiungere fino al cyberbullismo, dove la violenza trova spazio e anonimato nei social network. Le conseguenze, spesso, non sono solo emotive, ma fisiche con l’ansia, l’insonnia, i disturbi alimentari e le crisi di panico. Dietro ogni ragazzo che subisce c’è un dolore taciuto e una solitudine che si allarga giorno dopo giorno. E dietro ogni bullo, più spesso di quanto si pensi, c’è una fragilità, un disagio familiare e un bisogno di controllo che nasce dall’incapacità di gestire la propria insicurezza. Il mobbing, invece, è il bullismo degli adulti. Si manifesta negli ambienti di lavoro, dove le dinamiche di potere e competizione possono trasformarsi in strumenti di persecuzione psicologica. Si esprime attraverso pressioni costanti, isolamento, svalutazione professionale e umiliazioni pubbliche o private. E chi subisce mobbing, lentamente, perde la fiducia in sé stesso e si ammala, si ritira dal contesto sociale, e spesso abbandona il proprio lavoro pur di sottrarsi ad un ambiente tossico. È un problema culturale, oltre che organizzativo, perché nasce da una visione distorta del potere e da una mancanza di empatia. In entrambi i casi, bullismo e mobbing rivelano la stessa radice della difficoltà di riconoscere l’altro come persona, con il suo valore e la sua vulnerabilità. Sono il riflesso di una Società che spesso premia la forza, la competizione e l’apparenza, dimenticando la gentilezza, la solidarietà e il rispetto. Combatterli richiede, prima di tutto, un cambiamento culturale profondo. Non bastano le sanzioni o le leggi, pur necessarie, se non si interviene sull’educazione affettiva, sull’empatia e sulla capacità di comunicare senza ferire. Nelle Scuole è fondamentale creare spazi di ascolto, dove i ragazzi possano esprimere le proprie paure senza timore di essere giudicati. Servono insegnanti formati, psicologi di riferimento e progetti educativi che aiutino a riconoscere i segnali del disagio prima che sia troppo tardi. Nelle aziende, invece, è indispensabile costruire una cultura del benessere lavorativo, con politiche di prevenzione, sportelli di supporto e un’attenzione concreta alla salute mentale dei dipendenti. La prevenzione è possibile solo se si abbandona il silenzio e si dà voce a chi ha il coraggio di denunciare. Il bullismo e il mobbing non sono semplici conflitti, ma sono abusi. E come ogni abuso, si alimentano della paura e dell’indifferenza. Ogni volta che una vittima tace ed ogni volta che un testimone guarda altrove, il ciclo della violenza si rinnova. Al contrario, ogni gesto di solidarietà, ogni parola di conforto ed ogni denuncia contribuisce a spezzarlo. Affrontare queste piaghe significa restituire umanità ai luoghi dove viviamo, che siano Scuole, uffici o comunità. Peraltro, significa insegnare che la forza non sta nell’umiliare, ma nel comprendere. Perché solo in una Società capace di rispetto ed ascolto si può davvero parlare di civiltà.

